martedì 3 marzo 2009

Cose serie: quello che mi preoccupa di questo paese

Parliamo di informazione, oggi due cose in particolare hanno destato la mia preoccupazione.

La prima. Siamo a “La vita in diretta” di oggi 3 marzo 2009 (sì, lo, è come sparare sulla Croce Rossa) e mandano in onda questo accuratissimo servizio che narra le 17 operazioni chirurgiche a cui una giovane donna italiana si è sottoposta negli ultimi 10 anni. Sorvolo sulla valutazione del risultato che mostra una donna piacevole – certamente – ma non certo meravigliosa come tutti i soldi spesi farebbero supporre, quello che mi lascia veramente attonita è il piglio giornalistico con cui l’inviata stile Silvana/Paola Cortellesi incalza sulla protagonista circa le motivazioni che l’hanno indotta a queste scelte (complimenti al retruitment della trasmissione).

La protagonista propina allora la sua risposta preconfezionata, recitata con la stessa intensità con cui alcune capita di vedere molte subrette leggere i testi delle televendite, sulla sua infanzia difficile e il rapporto con il padre che avrebbe voluto un maschio (ma allora era meglio Lady Oscar!) da cui è derivata una sua “ansia sociale”, così la chiama, che è alla base di tutto.Si mostra in bikini illustrando dal vivo i punti del corpo in cui ha subito interventi, serena come una pasqua parla dell’attrice americana che ha preso a modello: Pamela Anderson (americana ok, attrice boh) che le è sembrata “vincente, sportiva” e quindi da prendere assolutamente come punto di riferimento. I soldi spesi provengono in parte da un’eredità (il padre padrone?) e in parte dal suo lavoro di piccola imprenditrice. Se non avesse avuto i soldi , dice, si sarebbe buttata via, sposata col primo che capita e avrebbe vissuto una vita da repressa.

Il conduttore azzarda un’ipotesi di patologia nel suo comportamento, che lei accoglie – sempre serenamente e con la stessa faccia paralizzata pronta per i flash – ma spiega che lei ama apparire e preferisce fare queste cose piuttosto che buttarsi via, sposare il primo che capita bla bla bla.

Ergo le alternative per una giovane donna italiana sono due: arricchire chirurghi estetici covando una depressione oppure buttarsi via e vivere una vita da repressa. E dire che le foto che la ritraevano nei veri “prima dell’intervento” sono foto di una ragazza normalissima, come ne conosco molte che sono persone belle ed hanno vite appaganti.

Il servizio è finito, si passa al successivo. Non c’è analisi critica, non c’è tentativo di spiegare che i traumi dell’infanzia forse si posso affrontare in un modo più sostanziale, non c’è negazione di nulla di quanto è stato detto, cioè di una serie di bestemmie.

Quante persone guardano La vita in diretta? Molte, credo. Quante di queste riescono a prendere un minimo le distanze da quanto proposto? Non lo so. Quante prendono a loro volta questa giovane donna a modello per risolvere le loro “ansie sociali”? Temo molte. Si tratta di pubblico servizio? Cioè di un servizio teso a servire il bene comune, l’avanzamento civile e culturale del paese? Certamente no.

 

La seconda. Incontro una vecchia conoscenza che lavora nel settore del trasporto aereo che mi racconta di come il sindacato degli assistenti di volo ( o piloti?..non ricordo) abbia tentato durante il periodo della ribalta mediatica del caso Alitalia di acquistare una pagina di un quotidiano per spiegare alcune cose, chiarire punti essenziali affinchè la pubblica opinione potesse – appunto – farsi un’opinione e di come il tentativo sia stato magistralmente insabbiato. Niente di fatto. L’unica versione è quella, confusa e contraddittoria, a cui abbiamo assistito. Mi racconta anche che tre assistenti di volo si sono suicidati da quando è iniziata la vicenda Alitalia. Chi lo sapeva? Chi lo sa? Forse non sono stata attenta alle notizie, io lo ignoravo.

Non so se sarei stata d’accordo con le eventuali posizioni pubblicate dal sindacato su una pagina di giornale, non so se esiste un rapporto diretto di causa effetto tra i licenziamenti e le morti di quelle persone. Certamente so che preferirei si potessero ascoltare più campane, preferirei che tutti avessero accesso all’informazione e che questa fosse gestita, per quanto possibile, da professionisti competenti  impegnati per il bene comune, consapevoli delle conseguenze che il loro lavoro ha  sulle opinioni e sui comportamenti delle persone. É ancora così nel nostro paese? A me pare di no.

E questo mi preoccupa.

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